Alessandro Anselmi - Architettura e Modernità pt. 6

Alessandro Anselmi, nato a Roma nel 1934 e scomparso il 28 Gennaio di 4 anni fa, fu un architetto italiano impegnato, insieme al GRAU, nel superamento del Movimento Moderno prima, e nello studio dell'intorno negli anni più recenti.
Proprio la sua visione del "contesto" nelle ultime opere è un aspetto interessantissimo che mi ha colpito, particolarmente il Nuovo Municipio di Fiumicino del 1997.


Anselmi è citato nella Parte Sesta del libro "Architettura e Modernità" (A. Saggio, 2010, Carocci editore), capitolo che racconta gli anni Ottanta dell'architettura (1978-1987) caratterizzati da "contesti e palinsesti".
Questo flash del libro sul 1980 segue il capitolo sull'architettura del "linguaggio", e fin da subito concentra il lettore sul problema e la consapevolezza del tempo: il tempo dell'espansione urbana ormai è finito. Il nuovo soggetto per gli architetti è l'ambiente, il contesto diventa una mappa dove individuare aree non ancora utilizzate per agire.
Roma è la spettatrice e l'oggetto della mostra del 1978 "Roma Interrotta", la quale fa rinascere il patrimonio culturale della città con continui dialoghi tra arte contemporanea e antica. 

Non risulta, secondo me, ovvio pensare che una città storica diventi il punto di partenza per lo studio della parola "contesto", perchè immagino i numerosi vincoli e difficoltà nel progettarci, ma è sicuro che essa offra le migliori possibilità ad architetti urbanisti di operare per reinterpretare e lasciare un proprio segno.
La pianta della città del Nolli mostra una combinazione, un rapporto tra costruito e natura che rimarrà costante fino ai giorni nostri.
Tra questi caratteri e dopo lo studio di Portoghesi si inserisce Alessandro Anselmi che avendo già effettuato studi al riguardo, afferma che la storia che circonda Roma non deve essere solo ricordata, ma deve entrare ed essere riferimento dell'architettura attuale, concetto che sarà riferimento per molti architetti dopo di lui.
L'Europa nel frattempo non rimane ferma, ma studia il rapporto tra architettura e spazio pubblico, tra la residenza e la Città, rapporti che vedranno Venezia e Napoli come i laboratori di studio italiani. 

Dagli anni Ottanta la ricerca architettonica sembra spostarsi sulla successione degli spazi urbani, sulla loro stratificazione e su interventi in situazioni già parzialmente edificate. Varie chiavi di lettura del contesto a cui A. Saggio da un taglio specifico approfondendo le idee di Peter Eisenman, Frank O. Gehry e Zaha Hadid.

- Eisenman lavora sul riscoprire volumi e geometrie perdute, ma già appartenenti ai luoghi, anche se a volte solo idealmente, attraverso delle griglie, dei reticoli, delle stratificazioni come nei "palinsesti". Presto però, il concetto di griglia portata all'estremo si ritorce contro Eisenman, che capisce di dover cambiare direzione; qui credo che l'idea di "between" sia una ramificazione del concetto di contesto e non un dietro-front, probabilmente l'architetto stesso è consapevole di essere andato troppo in là.

- Gehry dopo i primi quindici anni di lavoro strettamente professionale, riscopre sè stesso nel far risaltare i valori dell'ambiente circostante senza esagerarli e senza azzerarli, il "cheapscape". Si stacca dall'idea premonitoria di Kroll e Erskine coinvolgendo non solo lo spettatore e l'utente, ma l'intero ambiente, l'intero contesto residuale anche di scarti in cui Gehry cerca e trova motivazione lo troveremo in opere come l'Edgemar Complex o la Casa Norton.
Verso la fine degli anni Ottanta Gehry, con la costruzione della Scuola di legge dell'Università di Loyola, i quali schizzi risalivano già al 1978, centra una riflessione sulla scena urbana, che vede edifici singoli, separati, creare spazi tra loro i quali diventano il fulcro della progettazione. Lo spazio cavo diventa non solo luogo di aggregazione, o composizione ubrana ma prende il ruolo di mostra per l'arte urbana.


- Hadid dà un'interpretazione del contesto molto più letterale rispetto ai precedenti due architetti, con lei la parola vede l'accezione reale di paesaggio. Il lavoro di Zaha Hadid deriva da uno studio grafico e pittorico, dal quale capisce che il dipinto non deve essere per forza solo arte ma anche un'ipotesi di architettura.
La sua interpretazione di contesto è facilmente collegabile ad una "tessitura", ad un intreccio, che molto probabilmente deriva da un suo imprinting dell'infanzia, del suo mondo  di telai e panni.
Hadid riesce in qualche modo a dare forma architettonica a collegamenti astratti, artistici a spazi probabilmente solo immaginabili. I suoi edifici si modellano insieme al contesto, sono un tutt'uno, non c'è più un distacco netto tra architettura e "landscape", i contorni si sfumano nella vista d'insieme.

Le stratificazioni nei palinsesti di Eisenman, qui si intrecciano tra loro per comprendere meglio il paesaggio, i layer non sono gerarchici ma si mescolano.

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